Quando si ha una passione che ci
ruba tempo, risorse ed energie, capitano momenti in cui si ha il bisogno di guardarsi
le mani, guardarsi intorno e quanto fatto finora in quel contesto, e giungere
alla conclusione che “Dopotutto ne è valsa la pena.” Deve essere positivo il
bilancio di quanto abbiamo speso di noi stessi rispetto alle emozioni percepite,
le gratificazioni ricevute e le medaglie consegnateci.
Altrimenti si smette e si comincia a
fare qualcos’altro.
Di hobby non ne ho mai avuti troppi,
ma quelli che ci sono ricevono sempre la loro dose cadenzata di Federico
necessaria per esistere, per resistere. Spesso, nei bilanci di cui sopra, tendo
ad apportare teorie al limite del paranormale pur di legittimare ciò che già
dovrebbe esserlo, in quanto fonte di piacere, seppur fine a se stesso.
I videogiochi rientrano in questa
categoria. Non servono a niente se non a divertire, a provare a vivere in un mondo
sempre più realistico vicende impossibili, a commettere azioni altrimenti impensabili
all’interno della società ecc. Ma questo non mi basta: secondo me servono anche
a sviluppare i riflessi di Peter Parker, l’intuito della signora Fletcher e il
coraggio di Marty McFly. Però…
C’è un però e anche grosso. Hanno un
difetto (molti, per la verità) che mi è affiorato alla mente solo di recente.
Si parlava di rischi nella vita, di coraggio nel fare scelte difficili, di
probabilità di vincere tutto o perdere anche di più… e riflettevo sul fatto che
io, personalmente, mi sento un po' inibito di fronte a tutto ciò.
“Ci provo?! E se fallisco?” “Con un
po’ di fortuna potrei trarne grande giovamento, oppure trovarmi in estrema
difficoltà…” “Forse è bene pensarci altre dieci volte.”
Se la vita fosse un videogioco, la
soluzione a certe indecisioni sarebbe a portata di mano.
Prima di agire, salvo la partita! Alla
peggio ricarico…
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